Prolusione per la Giornata della Memoria del 27 Gennaio 2016
Rispettabili Autorità Civili, Militari e Religiose, Gentile Pubblico, qui tutti riuniti nel rinomato Teatro Bibiena per questa importante commemorazione annuale.
Vorrei esordire dicendo che la città di Mantova da quando con la Legge 20 Luglio 2000, n. 211 è stata istituita la Giornata della Memoria in ricordo della Shoah e dei deportati militari e politici nei lager nazisti, ha onorato questa disposizione legislativa con 15 prolusioni pronunciate da oratori di alto spessore storico, culturale e umano. Ora siamo alla 16a commemorazione, meglio dire un’introduzione ai successivi interventi.
Il titolo è il seguente: “ ‘I Giusti tra le Nazioni’ mantovani”, titolo pertinente poiché nell’art.1 della Legge 211 c’è, fra gli altri intendimenti, il riconoscimento a quanti “si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Per questo motivo già nel 1963 fu istituita a Gerusalemme una Commissione guidata dalla Corte Suprema di Israele avente l’incarico di conferire l’onorificenza di “Giusto tra le Nazioni” a tutti coloro non ebrei che avevano rischiato la propria vita per salvare un solo ebreo dal genocidio, ovvero dalla Shoah. Chi viene riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” viene insignito di una speciale medaglia con inciso il proprio nome, riceve un certificato d’onore e ha il privilegio di vedersi aggiunto agli altri nomi, presenti nel Giardino dei Giusti presso il Museo-Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme. Infine a questi benefattori dell’umanità viene conferita la cittadinanza dello Stato di Israele.
Come mai negli anni Sessanta lo Stato di Israele volle istituire questo riconoscimento? Intanto per premiare queste persone che nonostante il pericolo per sé e i congiunti ( è noto che alcune scoperte per delazione o per altre cause seguirono la sorte degli ebrei nei lager), ubbidirono a uno istintivo senso di pietà e solidarietà, ma talora anche a profondo odio verso i persecutori. In secondo luogo per ribadire l’importanza di un gesto di sublime umanità travalicante ogni tempo, spazio, situazione storica o altro.
L’incisione di questi benemeriti sulla lapide dello Yad Vashem, risponde all’indole, alla cultura del popolo israelita di perpetuare la memoria del passato, anche se questo è stato abominevole, estremo, indicibile. Guido Lopez diceva: “Gli Ebrei sono fatti di memoria, un ebreo senza memoria non è più ebreo”. La natura umana tende in generale a rimuovere, cancellare certi avvenimenti disastrosi tali da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del genere umano, ma l’anima ebraica si oppone a questo atteggiamento, dato che il ricordo è sempre parte importante nella vita di ognuno, di tutto un popolo, senza del quale non si ha nessun discernimento né sul presente né sulle sfide del futuro. Basti leggere certi passi della Bibbia per renderci conto come viene raccomandata, direi esaltata, la memoria. Eccelsa qualità dell’uomo.
La Commissione della Corte Suprema per quanto riguarda l’Italia ha riconosciuto dal 1964 al 2013 634 Giusti tra le Nazioni, certo un numero molto inferiore rispetto ad esempio alla Polonia 6394, ai Paesi Bassi 5204, Francia 3513, Ucraina 2402, almeno questa è la statistica che tutti possono riscontrare sul Web. Come si vede siamo di fronte a un numero assai inferiore dato che in Italia, a parte il controllo nazifascista assai pesante, la campagna contro le razze cosiddette “inferiori”, compresa quella ebraica, datava già dalla campagna etiopica, e certamente anche prima, durante tutto l’Ottocento quando in Italia e altrove, specie in Francia, l’antigiudaismo e l’antisemitismo erano striscianti nelle istituzioni, negli apparati sociali, insomma ovunque.
La prima volta che vi è stata gratitudine verso coloro che hanno aiutato gli ebrei nella bufera dello sterminio, bisogna ricordare, a mio parere, quelle bellissime pagine che Primo Levi ha dedicato in Se questo è un uomo al suo salvatore Lorenzo quando si trovava nel reparto Monovitz Buna di Auschwitz. Lorenzo, un operaio civile italiano, estraneo alla persecuzione razziale, gli portò ogni giorno per sei mesi un pezzo di pane e avanzi del suo rancio, inoltre gli tenne la corrispondenza con la famiglia di Torino. Scrisse di lui Levi: “Per tutto questo, non chiese né accetttò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso”. Verso la fine del capitolo lo scrittore aggiunse: “Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pure e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo”.
Dalle mie ricerche ho constatato che Mantova finora (dico finora perché le indagini della famosa Commissione continuano e lo vedremo più avanti) vanta due “Giusti tra le Nazioni”, meglio dire due “Giuste tra le Nazioni”. Si tratta di due donne: Ada Tommasi coniugata De Micheli e Margherita Beduschi in Zanchi di cui racconteremo in breve l’opera in favore dei perseguitati ebrei.
Ada Tommasi nasce a Poggio Rusco nel 1916 rimanendovi tre anni. In seguito si trasferisce a Parma, poi a Milano seguendo la professione materna: era maestra elementare. A Milano frequenta l’Università e nel 1940 si laurea in letteratura italiana. S’inserisce nell’ambiente dell’Accademia di Brera nel quale conosce l’uomo che diverrà il suo compagno, il critico Mario De Micheli. Questi la introduce nell’ambiente intellettuale antifascista. Entrambi fanno parte del Gruppo “Corrente” di ispirazione antiregime, con a fianco intellettuali e artisti famosi come Giacomo Manzù con i quali firmeranno il manifesto contro l’epurazione di alcuni artisti che avevano rifiutato di dichiararsi fascisti.
Durante la Seconda guerra mondiale, Ada col marito si trasferisce a Sormano, paese vicino a Canzo (prov. di Como), e qui i due coniugi organizzano un centro di soccorso per mettere al sicuro intere famiglie di ebrei. Il centro è situato nel seminterrato della chiesa di Santa Valeria ove convengono ebrei in fuga verso la Svizzera. Ada fornisce loro cibo, indumenti, denaro e assistenza, documenti falsi per il passaggio oltre frontiera. Mentre il marito viene arrestato dalla Questura di Varese, Ada non solo continua l’opera di assistenza, ma riesce a liberarlo intercedendo presso l’amante del Vice Questore. Nel dopoguerra grazie alla testimonianza della famiglia ebrea Arth, riuscita a mettersi in salvo prima dell’arresto, ella nel 1955 consegue la Medaglia d’oro da parte delle Comunità israelitiche poi ebraiche. Il 18 novembre 1982 lo Yad Vashem riconosce Ada Tommasi e Mario De Micheli come “Giusti tra le Nazioni” (Dossier 1782) e pertanto i loro nomi vengono incisi sulla lapide dello Yad Vashem che si trova nella foresta di Gerusalemme, sul versante occidentale del Monte Herzl (Monte della Memoria).
Margherita Beduschi in Zanchi, nata a San Martino dell’Argine nel 1911, tra il dicembre 1943 e il novembre 1944 si distingue nel salvataggio dei Benyacar, ebrei conosciuti a Brescia, in quanto lei sarta si riforniva di pellami presso il loro negozio. Infuriando la persecuzione nazifascista in quella città, Susanna Roditti Benyacar, coniugata a Santo Benyacar in quel momento fuggito altrove, implora la Beduschi di trovarle un rifugio nel Mantovano per sé e per i figli Leone e Clara. Margherita, assente il marito perché soldato in Grecia, si consulta subito con don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo. Insieme prendono la decisione di inserire la famiglia Benyacar in un gruppo di profughi provenienti da Gaeta e di cambiare il cognome in Benedetti e così riscrivere le carte d’identità dei tre componenti. Poi mentre Susanna Roditti e il figlio Leone vengono ospitati in una casa a Rivarolo Mantovano presso le sorelle di Margherita, Clara è ospitata presso le suore di Maria Bambina a Bozzolo. Nel frattempo, nel maggio 1944, nasce il terzo figlio di Carlo e Anna Benedetti che viene registrato col nome Giorgio e don Mazzolari per fugare i sospetti lo farà battezzare. Nel novembre ’44 torna Santo, marito di Susanna, e la famiglia Benyacar per sentirsi più sicura si trasferisce da Bozzolo a Milano.
L’8 febbraio del 2000 la Commissione col Dossier 4003 decreta l’assegnazione di Margherita Beduschi Zanchi nell’elenco dei “Giusti tra le Nazioni” conferendole pure la Medaglia d’oro, mentre al parroco don Primo Mazzolari viene consegnata una lettera d’onorificenza per la collaborazione nel salvare quella famiglia.
Molti hanno pensato di non aver fatto niente d’importante nell’aver prestato aiuto. In tanti casi si schermivano dicendo di essersi comportati naturalmente dato il contesto di persecuzione, miseria, precariato. L’aiuto poteva essere considerato legittimo e non particolarmente prezioso. Ecco una frase ricorrente presso questi salvatori: “Ma cosa ho fatto di speciale? E’ stata poca cosa e poi è stato del tutto naturale, cosa avreste fatto al mio posto?”. V’è da dire che nell’elenco dei “Giusti tra le Nazioni” figurano tutte le categorie di persone: insegnanti, medici, infermieri, partigiani, preti, donne di servizio, operai, portinai, impiegati, funzionari pubblici, ferrovieri, perfino contrabbandieri, insomma ogni categoria sociale si è prestata in modo spassionato. Tuttavia all’opposto vi sono stati i delatori che per denaro o ingraziarsi le autorità fasciste, non hanno esitato a denunciare la presenza di ebrei.
Ora di persone che sono intervenute per afflato umanitario ma soprattutto in segno di amicizia e affetto verso famiglie israelite, mi piace qui ricordare la storia di Ida Zangrossi in Raffaldini, nata a Rodigo nel 1914 e dimorante a Mantova in via Corridoni. Nel dicembre 1943 la persecuzione colpisce in modo particolare l’avvocato Arrigo Polacco non tanto perché sia ebreo – era stato battezzato negli anni precedenti, quindi cattolico a tutti gli effetti – ma perché ha partecipato dopo il 25 luglio alla sollevazione contro il fascismo e così anche dopo l’ 8 settembre. Viene incarcerato in via Poma. Ma la Questura sentiti diversi testimoni in suo favore, gli infligge un’ammonizione e l’obbligo di risiedere in una sua casa a Cavriana sotto la vigilanza dei carabinieri di Guidizzolo. A quel punto l’avvocato temendo provvedimenti più severi come la condanna o il confino di polizia o anche la reclusione nel ricovero-ghetto di via Govi a Mantova, ha l’idea di mettersi in contatto con i Padri Carmelitani Scalzi di Santa Teresa. Padre Michele Vivenzi, priore del convento dei Carmelitani di Adro (prov. di Brescia), lo nasconde insieme ad altri ebrei nello stesso convento di Adro. L’avvocato ha il compito di tenere in ordine la biblioteca.
A questo punto entra in scena la signora Ida che insieme a Frate Ludovico di Santa Teresa si prende la premura di tenere i contatti tra l’avvocato e la sua famiglia. Sfidando le intemperie, i posti di blocco dei fascisti, spesso inforca la bicicletta per dirigersi a Castiglione delle Stiviere e più oltre fino a giungere ad Adro dove concorda col priore Vivenzi per preparare gli incontri di Polacco con la moglie. Nonostante i divieti della regola carmelitana e la presenza di militari tedeschi frequentanti il Convento per avervi depositato e nascosto opere d’arte trafugate, i due coniugi passono un po’ di tempo insieme. Alla fine della guerra l’avvocato Polacco potrà tornare in famiglia e seguitare la sua professione.
Il 25 aprile 1977 la signora Ida, in occasione del 32° anniversario della Liberazione, al Palazzetto dello Sport di Mantova, alla presenza del senatore Umberto Terracini, del sindaco Gianni Usvardi e di numeroso pubblico viene premiata insieme ad altri benemeriti che hanno prestato aiuto agli ebrei. Il riconoscimento consiste in un attestato di benemerenza voluto dal Consiglio Comunale con deliberazione unanime del 14 marzo 1977 “per la solidarietà e l’aiuto portati alla popolazione ebraica mantovana perseguitata dai nazifascisti”, firmato: Sindaco Gianni Usvardi. Nella stessa giornata la Comunità israelitica di Mantova onora con pergamena e Medaglia d’oro “gli altissimi meriti di Zangrossi Ida in Raffaldini che compì azioni di fraterna solidarietà a favore di ebrei perseguitati 1943-1945”, firmata dal presidente Italo Bassani. Stessi meriti per la fraterna solidarietà sono riconosciuti a Padre Michele Vivenzi tanto con la pergamena del Comune di Mantova quanto con quella della Comunità Israelitica, fregiata di Medaglia d’oro.
I riconoscimenti di quel 25 aprile del 1977 fu un fatto veramente straordinario poiché prima ancora delle proclamazioni dei “Giusti tra le Nazioni” accordate ad Ada Tommasi (1982) e a Margherita Beduschi (2000), le istituzioni mantovane onorarono i loro cittadini con prestigiose attestazioni. D’accordo che la Beduschi e la Tommasi sono state annoverate in tempi più recenti nel Memoriale dello Yad Vashem, ma le pergamene e le medaglie d’oro attribuite in anticipo a cittadini e cittadine mantovani di certo non sono state meno importanti.
Come si è detto sopra la Commissione della Corte Suprema di Israele in fatto di ricerca e individuazione di coloro che durante la persecuzione nazifascista salvarono molte vite di ebrei continua la sua opera meritoria anche ai giorni nostri. Ne fa fede il caso singolare di don Primo Mazzolari che già nel dopoguerra aveva ricevuto dalle Comunità Israelitiche italiane una lettera di riconoscimento. Il 1° agosto dello scorso anno si sono svolti a Bozzolo alcuni incontri in onore del famoso Parroco. La serata ebraica voluta dal Sindaco Giuseppe Torchio in collaborazione con la Fondazione Mazzolari e il giornalista Luciano Ghelfi ha avuto come momento centrale le testimonianze dei rappresentanti di due famiglie ebraiche salvate da Don Mazzolari. Prima è intervenuto Oskar Tänzer e poi Leone Benyacar. Tänzer (89 anni) d’origine tedesca della Saar si era spostato con la famiglia nel 1936 in Italia a causa della persecuzione razziale. Si era stabilito a Milano, ma poi nel ’43 a causa dei bombardamenti si era trasferito a Bozzolo, in via Matteotti, 73. Rimase qui fino al 20 ottobre quando si presentarono il podestà del tempo Giovanni Rosa, il maresciallo dei carabinieri Antonio Sartori e Don Mazzolari. I primi due si sarebbero dati assenti per tre giorni prima di trasmettere la presenza di ebrei in paese. Ma Don Mazzolari procurò subito una famiglia sicura per proteggere e nascondere i Tänzer. Alla fine questi ultimi preferirono tornare a Milano per poi riparare in Svizzera tramite una guardia di frontiera amica.
A Oskar rimase sempre impresso la solidarietà espressa da Don Mazzolari alla sua famiglia che in più occasioni lo definì “un prete differente”, ma ha anche espresso riconoscenza al podestà di Bozzolo e al maresciallo dei carabinieri che in quel pericoloso frangente diedero a lui e alla sua famiglia tre giorni di tempo prima della segnalazione. Dal canto suo Leone Benyacar (85 anni) ha esternato riconoscenza alla famiglia di Margherita Beduschi Zanchi per aver ospitato e nascosto in quel tempo la sua famiglia a Rivarolo Mantovano: protezione che abbiamo già raccontato.
Ora Tänzer e Benyacar da quanto hanno pubblicamente espresso si stanno impegnando con ulteriori testimonianze e documentazione perché anche don Primo Mazzolari venga considerato “Giusto tra le Nazioni”. Noi certamente lo auspichiamo poiché ne abbiamo conosciuto la disponibilità ad accogliere e aiutare qualunque genere di perseguitati.
Per finire si potrebbe fare questa riflessione: la Giornata della Memoria non ricorda solo il male assoluto e le sue vittime, ma anche la “banalità del bene” di coloro – e sono stati tanti che a rischio della propria vita hanno salvato e protetto gli oppressi dai regimi totalitari.
Carlo Benfatti
(Direttivo dell’Anpi e dell’Imsc di Mantova)
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